FAMIGLIA PALESE 

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La pergamena della Famiglia PALESE

 

Si certifica che la:

Famiglia PALESE

 

 

è originaria della Puglia, come si attesta dalle ricerche svolte da Rocco Palese di Potenza (Basilicata o detta anche Lucania – Italia) presso:

il Municipio (Ufficio Anagrafe) di Potenza;

le Chiese di San Gerardo e di San Michele di Potenza;

le Biblioteche Nazionali (Sezione di Araldica) di Napoli e Roma;

gli Archivi di Stato di Napoli e Potenza.

Con la ricerca sono stati censiti tutti i nuclei familiari che erano residenti a Potenza dal 1632 al 1884. Di ogni componente il nucleo familiare è stata creata una scheda contenenti tutte le informazioni come: data di nascita, paternità e maternità, numero e data dell’atto di nascita e di battesimo, data del matrimonio, professione, via in cui abitavano, soprannome, riferimenti del servizio militare, riferimenti del rilascio del passaporto (per coloro che emigrarono), ecc. . Sono presenti sul territorio Italiano molte famiglie che hanno il cognome PALESE. Sono localizzate in Puglia (Acquarica del Capo e altri paesi limitrofi – Lecce, Taranto e Foggia), in Basilicata (Potenza, Barile, Cancellara, Rionero in V.), in Friuli (Gemona e Trieste), in Trentino (Bolzano) e in Veneto (Venezia). Le famiglie Palese sono presenti anche in Istria e Austria. Dagli inizi del 1800, molte famiglie emigrarono verso l’America Latina e gli U.S.A., molti cambiarono alcune vocali del Cognome, trasformando PALESE in PALACE o PALAZE.

 

Il motto “SUSCIPIT et OSTENDIT”, qui sopra rappresentato, è contenuto in una ristampa anastatica dell’edizione di Napoli 1910 dal titolo “I Motti delle famiglie Italiane” di Carlo Padiglione – Forni Editore – Bologna.

 

I  nostri  maggiori,  sino al secolo  XVII,  si  compiacquero  di distinguersi col torre ad emblema figure allegoriche e motti  che esprimessero i loro sentimenti o le loro favorite inclinazioni, o ricordassero  un  fatto  della storia delle loro  famiglie,  o  la nobiltà  del proprio casata o l'allussione alla virtù od al  nome del più illustre personaggio di esso. I  letterati,  i poeti, gli artisti ebbero un bel da fare per rispondere a continue richieste  di  creare  le  insegne   ed illustrarle con sentenze, proverbi e massime. Formata da essi una figura, tolta  da qualcuno dei 3 regni della natura,  ed  alcune volte composta con disparati elementi, le affibiavano il motto, preso  da autorevoli scrittori di qualsiasi nazione, a  darne  la spiegazione, formando così la divisa.  La figura  veniva detta corpo ed il motto  anima  della  divisa, quasi che l'una per  farsi  comprendere  parlasse  per   mezzo dell'altro.  Altre  volte erano gli  stessi  letterati  che  per personaggi   e   spiccate   nobiltà, creavano, per omaggio, spontaneamente, motti e figure allusive al carattere  particolare di  essi,  alle loro armi gentilizie, al cognome,  ai  feudi  che possedevano, alle virtù ed alle loro gesta. Donde  continue discussionI (notevole è in proposito  la  curiosa opera dell'ARESI  dal  titolo:  "La  pietra  raffinata")   sulla interpretazione  di tali leggende, che finivano col  falsare  il pensiero di chi l'avesse composta o fatta comporre. Posteriormente il motto non accompagnò più la figura emblematica, e  quasi diremmo  personale, ma fu apposta  a  qualunque  figura adottata  per  arma gentilizia, mutamento che  l'Ammirato  chiamò spiriti  folletti, di cui udiamo le parole, ma non ne  vediamo  i corpi, perchè non più le figure rispondevano ai motti. Il motto creato da prima per un solo individuo, quasi a designare la  bandiera di  lui, sovente divenne  ereditario,  per  i  suoi discendenti   di  qualsiasi ramo  e linea,   assieme   all'arma gentilizia.  Il  motto  venne, meno rare eccezioni,  scritto  in lingua diversa dello idioma di chi l'adottava, talvolta con forma classica  per dare maggiore importanza al  proprio  pensiero,  e tal'altra  per circondare questo in una specie di mistero.  Tutte le nazioni fecero sempre uso di figure e motti. In questo andazzo gli   italiani  vennero superati  dagli  inglesi,   specialmente all'Epoca  della  Regina Elisabetta I, e dai  francesi  sotto  il governo di Carlo VII. Sulla  estensione,  sulla  forma e sulla  sostanza  dei  motti  i letterati  si affaticarono a dettar regole, che in  pratica  non seguirono  punto, regole che per la loro insulsaggine  non  credo ricordare.  Nel riportare i motti, specialmente gli  antichi,  ho conservata la forma talvolta erronea e talvolta poco ortografica, non  potendo elevarmi a giudice dei criteri e  della istituzione letteraria di chi li compose, essendo solo mio compito  riferirli integralmente, a titolo di storia. Per motti tramandatici in varie versioni o dizioni, ho  riportato quello che mi parve errato o più razionale. Ho dovuto comprendere tra  i  motti  le lettere sole o seguite da punti,  le  sigle,  i monogrammi, siano  essi composti di iniziali  di  varie  parole, siano  anche  composti da altre lettere e non  con le  iniziali, perché dessi rappresentando un pensiero che si volle coprire  di mistero  devono  ritenersi  come motti. Ho  escluso  però  quelle lettere,   che non facenti parte essenziale dell'arme, rappresentano  evidentemente soltanto nome, cognome prenome, uffizi,  come era uso nei bassi tempi nei quali per indicare  il proprio  cognome ora si usava la iniziale, ora assieme a questa, una consonante  ad un'altra lettera del cognome, per lo più  la media. Di queste  lettere indicanti nome e cognome sono innumerevoli gli esempi. Essi si rilevano dagli scrittori pseudomini  e  dai raccoglitori di ex libris.

                                                                 ROCCO PALESE

 

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